Ecco come l’Austria rimanda in Italia i migranti. Dopo essere sbarcati in Italia, tentano di varcare il confine ma vengono sistematicamente rimandati indietro.
BRENNERO (CONFINE ITALIA – AUSTRIA) – Con la mano si tocca la pancia. Dolore forte, gastrite di paura. E’ la terza volta che sale su questo treno. Direzione Monaco, sogna la Germania. Potrebbe andare bene, stavolta. Oppure no, potrebbe andare come tutte le altre volte. Potrebbe tornare indietro, Abdullah, respinto in Italia dalla polizia austriaca. Polizei, l’incubo dei migranti, quelli che, sbarcati in Sicilia, vogliono arrivare in Germania, Olanda, Svezia, Norvegia. E che, sistematicamente, vengono bloccati al Brennero, non appena il treno della speranza supera il confine. Catturati e riportati in Italia, al punto di partenza. Decine ogni giorno, centinaia al mese.
Eritrei, siriani, somali. Tanti bambini. Reduci di traversate, tra le dune, tra le acque. La fatica nelle gambe, i sogni nel cuore. Un sacchetto di plastica come valigia, un futuro da costruire. Lontano dalla guerra, con una felpa e una maglietta sulla pelle, nulla più. Ma qui fa freddo, fa freddo quassù al Brennero, qualcuno trema. Non è il Sahara, non ci sono i trafficanti di uomini, ma c’è chi li respinge alle frontiere d’Europa, ai confini della nuova cortina di ferro. Alla stazione del Brennero, Abdullah sceglie il treno delle 20 verso Monaco. Binario 7, 20 euro alla biglietteria elettronica. Viaggia insieme ad altri 17 profughi, eritrei e siriani, tutti col biglietto. Mentre salgono sul treno, perdono un dettaglio importante e non vedono che, mentre il capotreno fischia, sull’ultima carrozza salgono anche loro, due agenti della polizia austriaca. Proprio qui, alla stazione del Brennero, davanti alla nostra Polfer, inerme. Abdullah si annida nello scompartimento, mugola sofferenza, chiude la porta a vetri.
Cresce il mal di pancia, parte il treno, sferraglia sui binari. Comincia l’Austria, sale la tensione. Il treno corre, Innsbruck prossima fermata. Sguardi muti in carrozza, paure reciproche. Fuori dal finestrino i torrenti del Tirolo. Poi un rumore , improvviso, la porta che si apre, la voce inflessibile: “Polizei, passports”. Gli agenti entrano senza bussare. Abdullah mostra il biglietto del treno, ma non basta. L’Italia è il primo Paese in cui sono sbarcati e lì devono tornare. Lo dice la Convenzione di Dublino, lo impone l’Europa. E allora su: “Stand up, stand up”. Gli agenti ordinano di alzarsi. Tutti in piedi, si alza Abdullah e si alzano gli eritrei, gli uomini, le donne, i bambini. Quattro ragazzi vengono ammanettati. Il treno rallenta, ecco Innsbruck. La polizia fa scendere gli immigrati, in stazione ci sono altri agenti come rinforzi. Fuori dalla stazione, i pulmini della polizia austriaca sono già pronti, pronti a riportare i profughi in Italia, al Commissariato del Brennero. “Ogni giorno vediamo passare pulmini pieni di immigrati che vengono riportati in Italia” dicono i commercianti del Brennero, quelli che hanno il negozio sulla strada della frontiera.
Quella dogana oggi è soltanto una linea immaginaria, dove non esistono controlli. Passano le merci e passano i cittadini europei. I profughi invece no. “I numeri sono impressionanti, vengono respinti oltre 200 immigrati a settimana – dicono i poliziotti del sindacato Coisp – Questa situazione non può ricadere sulle spalle degli agenti, lasciati soli a gestire un flusso migratorio di proporzioni mai viste”. Al Commissariato del Brennero le operazioni di accoglienza dei migranti sono incessanti. Impronte digitali e foto segnalamento ad Abdullah e a tutti gli altri. E poi l’invito a presentarsi alla Questura di Bolzano per avviare le pratiche per la richiesta di asilo politico. Ma loro vogliono il Nord, hanno parenti e amici in Germania e Scandinavia. “Viaggiare non è un crimine” mormorano ripetutamente. Al Commissariato del Brennero, la polizia italiana offre loro un pasto caldo, talvolta un letto per trascorrere la notte. Prima che loro, eterni profughi, si rimettano ancora in viaggio. Verso Monaco, verso un sogno, su quello stesso treno.
Fonte: Il Corriere
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