Piero Ostellino (ex direttore del Corriere della Sera) scrive una critica puntuale, spietata e soprattutto liberale del renzismo, ma il il giornale di cui è stato direttore non la riporta neppure in prima pagina. Eccola:
di Piero Ostellino (Corriere della Sera) - Ciò che Matteo Renzi sta facendo nel Partito democratico – l’eliminazione progressiva della vecchia guardia, che pur merita di andare in pensione — rivelando che la tanto sbandierata rottamazione è stata solo la giustificazione demagogica di una operazione personale di potere per liberarsi dei concorrenti e conquistarne la segreteria — e nel Paese, l’irrisione del sindacato sceso in piazza contro il governo delle chiacchiere — irrisione che, con l’aria che tira, è come sparare sulla Croce rossa — non sono un modo di modernizzare la cultura politica della sinistra, né del sindacato. Ma il contrario.
Il ragazzotto fiorentino — che abbiamo a capo del governo senza averlo votato e che fa il verso al peggior Machiavelli della vulgata popolare — è ambizioso e cinico a sufficienza da distruggere irresponsabilmente lo stesso partito del quale è segretario e le poche tutele di chi lavora, pur di accrescere il proprio potere personale sia nel Pd, sia nel Paese. È anche abbastanza furbo per vendere la distruzione del partito di cui è segretario come un effetto collaterale della riforma politica e istituzionale che promette. I media comprano, a scatola chiusa, per una cosa seria gli effetti collaterali della sua ambizione.
Non c’è più nessuno che pare essere in grado di chiamare le cose col loro nome. Il rischio che corrono gli italiani è di finire nel tunnel di una ridicola autocrazia mascherata da riformismo parolaio; che, attraverso la leva fiscale — brandita anche da certi burocrati di Bruxelles — faccia perdere loro le libertà individuali, dopo aver distrutto, con la fine della sinistra e del sindacato, quelle collettive. Lo si lasci dire, allora, a chi scrive da sempre, senza mezzi termini, che la cultura politica di sinistra è stata, e ancora è, una iattura per il Paese.
La distruzione del Pd, e l’assunzione di un potere personale sempre maggiore da parte del suo segretario e capo del governo non vanno nella direzione della modernizzazione della cultura politica della sinistra. Quella che Renzi sta compiendo è l’operazione regressiva che tutti gli autocrati hanno compiuto nei confronti del Partito, o del movimento, che li aveva portati ai vertici del potere politico. La rivoluzione sovietica si era rapidamente risolta nella dittatura del Partito comunista e del suo Comitato centrale sul proletariato; successivamente, la deriva totalitaria aveva dato vita alla dittatura di Stalin sul Comitato centrale del Pcus, sullo stesso partito e sull’intera società.
La stessa operazione avevano compiuto Hitler nel movimento nazionalsocialista e Mussolini, nel fascismo, impadronendosene. Non sto dicendo che Renzi è come Stalin, Hitler e Mussolini, ci mancherebbe; sto solo segnalando che le stigmate dell’autocrate le ha tutte, e non le nasconde; basta ascoltarlo o guardarlo in Tv per constatarlo; lui esibisce la propria ambizione e ricorre a certe maniere spicce, nella presunzione che, in fondo, piacciano e gli procurino consenso.
In un Paese meno cialtrone, i media reagirebbero denunciando inganno e pericolo e l’opinione pubblica ne prenderebbe atto. Da noi, i media fingono di non vedere o, addirittura, plaudono, con la parte meno matura dell’opinione pubblica, all’«Uomo nuovo che cambierà l’Italia» come, nel ’22, avevano inneggiato all’originale, in nome dell’Ordine, abdicando alla funzione che, in una democrazia, dovrebbero esercitare a difesa delle libertà individuali e collettive.
Personalmente, non nutrivo alcuna simpatia, né ho oggi alcuna nostalgia, per la signora Bindi né per Massimo D’Alema. Ma ciò che inquieta è che in gioco non sono loro, ma una parte della nostra storia, della nostra tradizione politica, con i suoi limiti e le sue carenze e, con essa, il futuro del Paese. In gioco non è solo il Pd, che avrà i suoi difetti, ma che rappresenta pur sempre alcuni milioni di cittadini. Di una sinistra decente e sanamente riformista c’è bisogno; non fosse altro per la funzione critica che essa potrebbe esercitare rispetto a certe degenerazioni del capitalismo e del mercato nazionali. Ciò di cui non c’è davvero bisogno è di un nuovo duce…
Fonte: L'Intrapendente
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